martedì 24 luglio 2012

CIRCOLARE MINISTERIALE SUI "LAVORATORI AUTONOMI" NEI CANTIERI


Il Ministero del Lavoro fornisce indicazioni per il personale ispettivo in merito alle problematiche più riscontrate nella vigilanza nei cantieri edili, in particolare per l’utilizzo improprio di “sedicenti” lavoratori autonomi. 

Dalla circolare 16/2012

La circolare ha come scopo principale quello di impartire indicazioni operative per il personale ispettivo e chiarire, per quanto possibile, le problematiche che vengono riscontrate sempre più frequentemente nel corso dell’attività di vigilanza nell’ambito del settore edile. 
La premessa della circolare è molto esplicita e parla di  utilizzo improprio di “sedicenti” lavoratori autonomi che però di fatto operano in cantiere inseriti nel ciclo produttivo delle imprese esecutrici dei lavori, svolgendo sostanzialmente la medesima attività del personale dipendente delle imprese stesse. 
Chi opera in cantiere – siano essi Organi di Vigilanza, Coordinatori per la Sicurezza, Responsabili dei Lavori, ma l’aspetto riguarda anche e soprattutto i Committenti – è certamente cosciente del problema che sempre più frequentemente viene riscontrato relativo alla presenza di “presunti” lavoratori autonomi che in realtà di autonomia ne hanno effettivamente poca o nulla. 

A dare peso a questa – che visti i dati non risulta essere solo una sensazione – vengono in aiuto le rilevazioni dell’ANCE sui dati ISTAT relativi all’anno 2011, secondo cui il numero di lavoratori autonomi (senza dipendenti) che svolgono attività in cantiere risulta superiore rispetto alla categoria dei lavoratori subordinati (di poco maggiore del 51%). La circolare si sofferma poi brevemente sulle formule “aggregative” di dubbia legittimità quali ad esempio le associazioni temporanee di lavoratori autonomi ai quali viene affidata, da parte di committenti privati, l’esecuzione anche integrale di intere opere edili. 
Veniamo ora ad analizzare nel dettaglio i contenuti della circolare che, come evidenziato dall’estensore stesso, non vuole costituire principi di carattere generale in ordine ai criteri di distinzione tra prestazioni autonome e prestazione subordinate, ma solo come istruzioni di carattere tecnico necessarie al personale ispettivo uniformandone anche comportamenti e valutazioni. 
In primo luogo viene sottolineata la definizione di lavoratore autonomo come individuata dall'articolo 89, comma 1 lett. d) del D. Lgs n. 81/2008 e s.m.i., ai sensi del quale per lavoratore autonomo deve intendersi “la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione”, a tal proposito viene pure precisato che alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, l’imprenditore “tout court” ovvero l’imprenditore artigiano può svolgere attività di natura subordinata purché in misura non prevalente rispetto a quella di tipo autonomo (cfr. Cass. Sez. Unite n. 3240/2010).
In secondo luogo il riferimento, ai fini della verifica, è senza dubbio quello connesso al possesso ed alla disponibilità (intesa come proprietà, possesso o comunque disponibilità giuridica) di una consistente dotazione strumentale rappresentata da macchine ed attrezzature. A solo titolo di esempio vengono citati ponteggi, macchine edili, motocarri, escavatori, apparecchi di sollevamento. Mentre per contro viene precisato che la disponibilità di minuta attrezzatura (secchi, pale, picconi, martelli, carriole, funi) risulta inidonea a dimostrare l’esistenza di un’autonoma attività imprenditoriale.
Importante è anche l’aspetto nel quale la disponibilità delle macchine ed attrezzature specifiche per la realizzazione dei lavori venga data (a titolo gratuito od oneroso) dall’impresa esecutrice o addirittura dal committente. Tale circostanza è certamente un elemento sintomatico della non genuinità della prestazione di carattere autonomo. Ricordiamo che la verifica dell’idoneità tecnico professionale dei lavoratori autonomi (prevista dall’articolo 90 comma 9 del D.Lgs.  81/2008 e s.m.i.),  fa esplicito riferimento precedentemente ed indipendentemente dall’affidamento del singolo lavoro, alla disponibilità di macchine, di attrezzature ed opere provvisionali la cui conformità deve essere opportunamente documentata (vedasi al riguardo l’allegato XVII D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.).
Un ulteriore elemento di verifica, anche se non decisivo per il settore dell’edilizia, riguarda il riscontro di un’eventuale mono committenza.    
Al fine di supportare un regime di “presunzione” di lavoro autonomo, od al contrario di non “genuinità” del rapporto di lavoro, vengono poi fatte alcune considerazioni in relazione alla specifica situazione oggetto dell’accertamento al fine di inquadrare i margini della citata “autonomia” nell’ambito del ciclo complessivo dell’opera edile.

Se – fatti salvi i debiti controlli e verifiche – non siano mai sorti particolari problemi di inquadramento della prestazione autonoma per le attività di completamento dell’opera (finitura e realizzazione impiantistica), meno verosimile appare la compatibilità di prestazioni di lavoro di tipo autonomo con riferimento a quelle attività consistenti nella realizzazione di opere strutturali del manufatto (sbancamenti, costruzione delle fondamenta, di opere in cemento armato e di strutture in elevazione in genere), svolte da specifiche categorie di operai quali quelle del manovale edile, del muratore, del carpentiere e del ferraiolo.  Lo svolgimento di tali mansioni risulta, infatti,  legato ad un cronoprogramma ed ad un coordinamento tra lavoratori tramite un’attività unitaria ed organica, che difficilmente risulta compatibile con una prestazione dotata delle caratteristiche dell’autonomia quanto a “tempi e modalità di esecuzione” dei lavori.

Sempre per quanto riguarda gli aspetti presuntivi il personale ispettivo è tenuto a considerare rapporto di lavoro subordinato le prestazioni di lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle Imprese o all’Albo delle Imprese Artigiane adibiti alle seguenti attività:
- manovalanza;
- muratura;
- carpenteria;
- rimozione amianto;
- posizionamento di ferri e ponti;
- addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore.

Tale presunzione si applica anche nelle ipotesi in cui il Committente, assumendo la veste di datore di lavoro, affidi la realizzazione dell’opera esclusivamente a lavoratori autonomi, di fatto totalmente eterodiretti, ovvero lavoratori che lasciano che le proprie azioni vengano guidate dagli altri e pertanto  privi di autonomia decisionale.

In relazione ai provvedimenti sanzionatori da irrogare, la nota conclude precisando che, in tutti i casi di disconoscimento della natura autonoma delle prestazioni, il personale ispettivo è tenuto alla contestazione al soggetto utilizzatore, oltre che alle violazioni di natura lavoristica connesse alla riconduzione delle prestazioni al lavoro subordinato ed alle conseguenti evasioni contributive, anche quegli illeciti riscontrabili in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria e di mancata formazione ed informazione dei lavoratori adottando apposito provvedimento di prescrizione obbligatoria ai sensi del D. Lgs n. 758/1994.

Concludo con un piccolo schema riassuntivo di quanto indicato dalla circolare 16/2012.

SCHEMA  INDICATIVO desunto dai contenuti della Circolare 16/2012 della Direzione per l’Attività Ispettiva del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali

DISTINZIONE TRA PRESTAZIONI AUTONOME E PRESTAZIONI SUBORDINATE
PRESUNZIONI OPERATIVE”
IDENTIFICABILE COME LAVORATORE AUTONOMO

IDENTIFICABILE COME LAVORATORE SUBORDINATO
ELEMENTI DI GENUINITA’

SINGOLI ELEMENTI CARATTERISTICI
ATTIVITA’ SENZA VINCOLO DI SUBORDINAZIONE

ATTIVITA’ CON VINCOLO DI SUBORDINAZIONE
POSSESSO/ DISPONIBILITA’ DI MACCHINE O ATTREZZATURE

MANCATO POSSESSO/ DISPONIBILITA’ DI MACCHINE O ATTREZZATURE
PLURICOMMITTENZA
MONOCOMMITTENZA


AGGREGAZIONI DI LAVORATORI AUTONOMI


OCCUPATI NELLE SEGUENTI ATTIVITA’:
_ Manovalanza
_ Muratura
_ Carpenteria
_ Rimozione Amianto
_ Posizionamento di ferri e ponti
_ Addetti a macchine edili fornite dall’ impresa committente o appaltatore



lunedì 23 luglio 2012

PROTEGGERE I LAVORATORI DI ALBERGHI, CATERING E RISTORAZIONE

Bilbao 23 Lug - Carichi di lavoro pesanti, posture erette e statiche per periodi prolungati, frequenti turni di lavoro nelle ore serali e notturne e nei fine settimana a scapito dell'equilibrio vita-lavoro, elevati livelli di stress, impieghi monotoni, molestie e persino violenze da parte di clienti, colleghi e datori di lavoro, discriminazione verso donne e stranieri. Questi alcuni degli elementi che possono avere conseguenze negative sulla sicurezza e sulla salute sul lavoro degli operatori del settore alberghiero, della ristorazione e del catering, al centro di un rapporto appena pubblicato dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha), con l'obiettivo di individuare i principali fattori di rischio e fornire una panoramica delle buone pratiche per la gestione della sicurezza e della salute e per la prevenzione dei rischi per infortuni sul lavoro e malattie professionali.

Il 90% delle imprese sotto i dieci dipendenti. Con quasi otto milioni di persone impiegate, il settore alberghiero, della ristorazione e del catering (Horeca) è uno di quelli che creano il più alto numero di posti di lavoro in Europa. I principali operatori sono ristoranti e bar, che danno lavoro a tre quarti dei lavoratori del settore. Tra gli altri si contano i campeggi, gli ostelli e le mense. Nel 90% dei casi si tratta di piccole imprese con meno di 10 dipendenti o a conduzione familiare. Una caratteristica, quest'ultima, che secondo il rapporto spiega la diffusa difficoltà dei datori di lavoro di trovare il tempo e le risorse necessarie per comprendere e adeguarsi alle disposizioni legislative che riguardano il settore.

Salari bassi, orari irregolari e scarse prospettive di carriera. I posti di lavoro tendono a essere stagionali, con orari irregolari, retribuzioni basse e scarse prospettive di carriera. La quota di lavoratori stagionali risulta essere particolarmente alta in Italia, dove supera il 50 per cento della forza lavoro del settore, rispetto al 26% dell'Austria o al 47% della Spagna. Una percentuale elevata di addetti è costituita da giovani, mentre le donne sono poco più della metà. Dal punto di vista degli infortuni, le cause principali sono rappresentate da scivolamenti, cadute, tagli e ustioni, mentre tra le malattie professionali prevalgono i problemi muscolo-scheletrici.

La sfida della prevenzione. Dal rapporto dell'Agenzia europea emerge anche che i fattori chiave per il successo delle iniziative di prevenzione includono una buona valutazione dei rischi, il coinvolgimento dei lavoratori, l'impegno del management, la realizzazione di partnership per iniziative su larga scala da implementare a livello regionale, nazionale o di settore, e la capacità di adattare le attività di formazione alle caratteristiche dei diversi gruppi di persone coinvolti, come le donne, i giovani, gli stranieri e gli imprenditori. Il rapporto, in particolare, sottolinea che quella della prevenzione è la sfida principale che attende il settore alberghiero, della ristorazione e del catering, che deve ancora individuare le strategie più efficaci per la protezione dei suoi lavoratori. Una sfida ancora più importante perché il settore negli ultimi anni si è rivelato uno dei più dinamici per la creazione di posti di lavoro a livello continentale.

giovedì 19 luglio 2012

STUDIO SUI FENOMENI ALLERGICI, QUALI LE CAUSE?

Negli ultimi anni, nei paesi sviluppati si può notare un incremento del fenomeno delle allergie. Molti studi individuano come responsabile di tale avvenimento la forte presenza di sostanze inquinanti nell'aria che respiriamo e in generale nell'ambiente in cui viviamo.
Uno studio effettuato presso la McMaster University in Canada, si concentra però su altri motivi, provati scientificamente dallo studio affrontato da Susan Waserman, professoressa di medicina nella divisione clinica di immunologia ed allergie presso la suddetta Università. Tale studio si è concentrato sulla capacità allergizzante del polline.
Infatti, al mondo probabilmente non esiste niente di più naturale delle piante. Gli uomini hanno vissuto a contatto con esse per la loro intera storia evolutiva. Eppure il 20 per cento degli americani soffre di allergia nei confronti dei pollini. E tale dato non è tanto diverso nel continente europeo.


Come si può spiegare tutto ciò? Perché proprio il polline?
Gli esseri umani, solitamente diventano allergici nei confronti di sostanze alla quale sono fortemente esposti durante la crescita, ovvero da bambini. Il polline è una di queste, visto che nei mesi primaverili l’aria è molto ricca di tale sostanza, la quale viene inalata con frequenza dalle persone adulte e dai bambini. Normalmente si è anche esposti con continuità a cibo, peli di animali e anche nei confronti di tali sostanze possiamo sviluppare allergie, ma non a tutti accade. Comunque, se una persona ha tendenza genetica a diventare sensibilizzato, l’enorme quantità di polline presente nell’aria può facilmente portare alla sensibilizzazione.

Se però, al di la della sua forte concentrazione nell’aria, il polline, essendo una sostanza naturale, non presenta particolari problematiche, come mai è una delle prime cause di allergia?
Per rispondere a questa domanda bisogna innanzi tutto sapere come nascono le allergie e cosa sono. Il modo in cui tutto funziona è questo: l’allergia nasce dopo un periodo di sensibilizzazione che porta al fatto che il nostro organismo, ed in particolare il nostro sistema immunitario, riconosca una proteina innocua, come una minaccia, in pratica come se fosse qualcosa di “cattivo” per il nostro corpo. Una volta sensibilizzati, ovvero una volta che il nostro sistema si è fatto l’impressione sbagliata nei confronti di un pelo di animale, o di un granulo di polline, non c’è modo di cambiare la sua risposta, e si è affetti da allergia, spesso per tutta la vita.
Dopo il periodo di sensibilizzazione, basta una piccola presenza della sostanza a cui siamo diventati allergici, per fare in modo che il nostro sistema immunitario aumenti le difese e cominci ad “attaccare” l’agente riconosciuto come dannoso. Per prima cosa le cellule immunitarie producono anticorpi (IgE). Ogni anticorpo si lega ad una molecola di allergene, attivando i globuli bianchi chiamati mastociti innescando il rilascio di sostanze chimiche come l’istamina. Tutto questo provoca i fastidiosi sintomi dell’allergia, starnuti, dispnea, prurito, gonfiore e rash cutanei.

Ma perché il sistema immunitario compie tale errore, portando la comparsa di allergie?
Per spiegare questo entra in gioco appunto la ricerca svolta dall’università canadese. Ci sono alcuni studi che dimostrano che la nascita delle allergie avviene quando il sistema è esposto contemporaneamente ad un virus e ad una grande quantità di allergene. La Dott.sa Waserman osserva: “è del tutto plausibile che quando il corpo è impegnato ad instaurare una grande risposta immunitaria nei confronti di un virus, possa nascere, se si è esposti contemporaneamente anche ad un allergene, una risposta allergica, ma questo non lo si può dichiarare con certezza. La maggior parte degli studi effettuati sui bambini riguarda la “co-infezione” tra un virus e i peli degli animali domestici, ma lo stesso si può dire anche per le allergie dovute da polline e sostanze alimentari”.

Lo studio sviluppato alla McMaster University invece, vuole dimostrare come l’esposizione inadeguata a batteri e virus durante l’infanzia, aumenti notevolmente la probabilità di sviluppare allergie. Grazie alla moderna igiene, sapone antibatterico, acqua pulita, latte pastorizzato e via dicendo, i bambini non sono più esposti a tanti microbi come accadeva in passato. Di conseguenza, il loro sistema immunitario, essendo poco sollecitato, ottiene minori opportunità di imparare a riconoscere e a distinguere agenti patogeni pericolosi e sostanze innocue come il polline. Si chiama "ipotesi dell'igiene", ma secondo Waserman, è una teoria accettata. "Le persone non esposte a batteri, con un sistema immunitario non abituato a combattere le infezioni, sviluppano più facilmente allergie.”

Rimane comunque la questione sul perché l’esposizione a malattie infettive certe volte favorisca l’insorgenza di allergie, altre volte invece le “soffoca”. Bisogna quindi stabilire quale sia il giusto rapporto tra “sporcizia” e “pulizia” alla quale si deve essere esposti durante l’infanzia.

Ecco il link dell’articolo: http://www.mnn.com/health/allergies/stories/why-are-pollen-allergies-so-common

Sicuramente discostandoci dalla ricerca della Dott.sa Weserman, c’è da dire che in ambiente lavorativo è invece importantissimo conoscere le sostanze che si utilizzano, le quali difficilmente sono naturali come il polline, leggere prima dell’uso la scheda di sicurezza per verificare che ciò che si utilizzata non sia ne sensibilizzante ne allergizzante. In caso, comunque, l’unica misura preventiva realmente efficace è quella di proteggersi il più possibile dalla sensibilizzazione. Per prima cosa si cerca di sostituire le sostanze che presentano tali caratteristiche, se non è possibile bisogna regolare la quantità di utilizzo, le metodologie di utilizzo e i DPI (efficaci ed idonei a proteggere dall’esposizione), poiché una volta sensibilizzati, basta anche una piccola esposizione per scatenare l’allergia.

martedì 17 luglio 2012

PREVENZIONE INCENDI, VIOLAZIONI E SANZIONI

Si riporta di seguito un elenco, non esaustivo, relativo alle principali ipotesi di reato previste dal D.Lgs 9 aprile 2008, n. 81 e succ. mod. (D.Lgs 3 agosto 2009, n. 106), relativamente alle violazioni delle norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro che rientrano tra le competenza del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (C.N.VV.F.):

1.    Violazione dell'Art. 37, comma 9: Mancato adempimento agli obblighi di formazione e aggiornamento periodico in relazione all'omessa formazione dei lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio e di gestione dell'emergenza.
(punito dall'Art. 55 comma 5 lett. c con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

2.     Violazione dell'Art. 46, comma 2: Omessa adozione di idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori (es. per mancata effettuazione dei lavori di cui al progetto approvato o per mancato rispetto delle disposizioni contenute sulla regola tecnica di prevenzione incendi, ecc).
       (punito dall'Art. 55 comma 5 lett. c con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

3.    Violazione dell'Art. 163, comma 1: Omessa predisposizione di segnaletica di sicurezzaconformemente alle prescrizioni di cui agli allegati da Allegato XXIV a Allegato XXXII.
(punito dall'Art. 165 comma 1 lett. a con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro)

4.    Violazione dell'Art. 64, comma 1:  Il luogo di lavoro non è conforme ai requisiti di cui all'articolo 63, comma 1  per la mancanza dei seguenti requisiti indicati nell'Allegato IV:
1.5.2. Le vie e le uscite di emergenza non risultano sgombre.
1.5.5. Le vie e le uscite di emergenza non hanno altezza minima di m 2,0 e/o larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
1.5.6. Le uscite di emergenza sono dotate di porte non apribili nel verso dell'esodo.
1.5.7. Le porte delle uscite di emergenza risultavano chiuse a chiave in presenza di lavoratori in azienda in assenza di specifica autorizzazione degli organi di vigilanza.
1.5.11. Le vie e le uscite di emergenza non sono dotate di un'illuminazione di sicurezza.
1.5.14.2. Le aperture nelle pareti, che permettono il passaggio di una persona e che presentano pericolo di caduta per dislivelli superiori ad un metro, non sono provviste di solida barriera o munite di parapetto normale.
Le porte e portoni non risultano conformi al punto 1.6.
4.1.3. Non sono stati predisposti mezzi ed impianti di estinzione idonei.
4.1.3. I mezzi ed impianti di estinzione non sono mantenuti in efficienza e controllati almeno una volta ogni sei mesi da personale esperto.
(punito dall'Art. 68 comma 1 lett. b con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.000 a 4.800 euro)

5.    Violazione dell'Art. 29, comma 1: Omessa valutazione dei rischi e omessa elaborazione del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a)
(punito dall'Art. 55 comma 1 lettera a con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro)

6.    Omessa designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b).
(punito dall'Art. 55 comma 1 lett. b con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro)

7.    Adozione del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a) in assenza degli elementi di cui all'articolo 28, comma 2, lettere a), primo periodo.
(punito dall'Art. 55 comma 4 con l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro)

8.     Violazione dell'Art. 18, comma 1 lett. d):  Omessa fornitura ai lavoratori di necessari e idonei dispositivi di protezione individuale.
(punito dall'Art. 55 comma 5 lett. d con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.500 a 6.000 euro

lunedì 16 luglio 2012

IMPIANTO ELETTRICO: QUALI GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO?

 
Con l’approvazione della legge 46/90, successivamente rivista dal DM 37/08, l’impianto di messa a terra di un edificio non deve più essere omologato da un ente pubblico, come l’ISPESL o l’ARPA. Dal 1990 infatti, la responsabilità del collaudo iniziale e della omologazione vera e propria dell’impianto di messa a terra, ricade sull’installatore, il quale è tenuto ad effettuare tutte le verifiche del caso e a rilasciare una dichiarazione nella quale certifica che l’impianto di messa a terra è stato realizzato a regola d’arte e che è correttamente funzionante in ogni sua parte. La certificazione in questione è la dichiarazione di conformità, un modulo di circa due pagine, corredato di alcuni allegati, nel quale l’installatore effettua la descrizione dell’impianto installato, elencando materiali utilizzati, un disegno elettrico del circuito, l’anagrafica del cliente e dell’edificio. Può essere sostituita, in alcuni casi, dalla dichiarazione di rispondenza, un altro certificato con il medesimo valore legale, rilasciato però non dall’installatore ma da un’altra impresa elettrica abilitata dal ministero, a seguito dello smarrimento della certificazione di conformità originaria. In sostanza, nella dichiarazione di rispondenza, l’impresa elettrica si impegna a certificare lo stato di sicurezza dell’impianto installato da qualcun altro. Dichiarazione di conformità o di rispondenza insomma, allo stato attuale della normativa, per un impianto elettrico di messa a terra rappresentano di fatto l’omologazione. Dal momento della messa in esercizio dell’impianto di messa a terra e dalla sua “omologazione implicita” da parte dell’installatore, il proprietario dell’impianto ha trenta giorni di tempo per comunicare allo Sportello Unico del comune di competenza la dichiarazione di conformità ricevuta dall’installatore. Nel caso in cui nel proprio comune non fosse attivo tale sportello, il proprietario dell’impianto deve comunicare tale dichiarazione direttamente agli uffici di competenza dell’ISPESL e dell’ASL/ARPA di quella determinata area territoriale. Da quel momento potranno essere effettuati controlli a campione da parte dell’autorità competente, per valutare la veridicità della documentazione inviata, lo stato di usura dell’impianto e l’effettuazione delle normali verifiche periodiche.
Il proprietario dell’edificio, o l’amministratore del condominio, oppure chiunque abbia la responsabilità amministrativa della gestione di un edificio, è tenuto a fare verificare l’impianto di messa a terra con cadenze periodiche regolari (biennali o quinquennali a seconda della tipologia dell’impianto).
Solitamente, la verifica dell’impianto di terra (così come quella dei sistemi di protezione da scariche atmosferiche) deve essere effettuata ogni 5 anni. Esistono tuttavia delle eccezioni, per le quali le verifiche degli impianti di messa a terra devono essere effettuate ogni 2 anni.
Vediamo allora sommariamente i casi che fanno eccezione. Sono tenuti ad effettuare verifiche periodiche BIENNALI dell’impianto di messa a terra e più in generale degli impianti elettrici:
·             I locali ad uso medico, gli ospedali, le case di cura e di riposo, le strutture riabilitative psicofisiche, i centri estetici, gli studi medici, veterinari e ovunque siano presenti macchinari biomedicali;
·             Le attività che hanno l’obbligo di dotarsi di certificato prevenzione incendi (CPI);
·             Le attività e i luoghi ove sono impiegati materiali a rischio di esplosione o deflagrazione;
·             I cantieri.
Il datore di lavoro, il proprietario dell’edificio o l’amministratore, è tenuto a comunicare allo Sportello Unico, oppure all’ISPESL e all’ASL/ARPA di competenza entro 30 giorni, eventuali modifiche effettuate all’impianto a seguito della propria installazione iniziale SOLO quando queste modifiche stravolgono l’impianto in maniera sostanziale.

Per modifica “sostanziale” si intende una modifica che stravolge la natura stessa dell’impianto elettrico, per esempio un passaggio da una alimentazione a medio/basso voltaggio (quella classica di rete che riceviamo nelle nostre abitazioni) ad una alimentazione ad alto voltaggio (superiore ai 10.000 V).

In caso invece in cui le modifiche effettuate all’impianto non dovessero essere così invasive, non è necessaria detta comunicazione. Vale insomma il discorso fatto per l’omologazione dell’impianto: in caso di modifica non sostanziale dell’impianto elettrico e di messa a terra, è sufficiente che l’installatore o il manutentore dell’impianto, rilasci la dichiarazione di conformità relativa alle modifiche effettuate.


Quali sono gli obblighi del datore di lavoro riguardanti la sicurezza in azienda?

Gli obblighi di un datore di lavoro sono molti, e spesso variano in base alla grandezza dell'azienda. Sicuramente esistono degli obblighi non delegabili come la nomina dell'RSPP e la stesura del Documento di Valutazione dei Rischi. Riportiamo in forma estesa gli obblighi presenti sul D.Lgs. 81/08, con relative sanzioni:

1. Il datore di lavoro e i dirigenti, che organizzano e dirigono devono:

a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo.
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro)

b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro)

e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li
espongono ad un rischio grave e specifico;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nell’unico testo;
(Ammenda da 2.000 a 4.000 euro)

g-bis) nei casi di sorveglianza sanitaria comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro;
(Sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro)

h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori;

m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

n) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;
(Ammenda da 2.000 a 4.000 euro)

o) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del rischio, anche su supporto informatico, nonché consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento è consultato esclusivamente in azienda;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro)

p) elaborare il DUVRI, anche su supporto informatico, e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato esclusivamente in azienda.
(Ammenda da 2.000 a 4.000 euro)

q) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro)

r) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia prevista dal testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;
(sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro con riferimento agli infortuni superiori a un giorno)
(sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.500 euro con riferimento agli infortuni superiori ai tre giorni)
[L’applicazione della sanzione di cui … (sopra)…, esclude l’applicazione delle sanzioni conseguenti alla violazione dell’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124]

s) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità produttiva; sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico competente; in merito all’organizzazione della formazione dei lavoratori;
(Ammenda da 2.000 a 4.000 euro)

t) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti;

u) nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;

v) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori convocare la riunione periodica con RSPP, RLS e MC se nominato;
(Ammenda da 2.000 a 4.000 euro)

z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;
(Arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro)

aa) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, in caso di nuova elezione o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
(Sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro)

bb) vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.
(Sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.500 euro)

venerdì 13 luglio 2012

COS’È IL RADON?

Cos'è il Radon? Questa è una tipica domanda, a cui poche persone in Italia sanno rispondere. Infatti, proprio quando nei corsi si parla di percezione del rischio, questo è l'esempio tipico, di come molti fattori che recano un danno notevole alla salute sono poco considerati dalle persone o addirittura non conosciuti.

Il Radon è un gas radioattivo naturale, prodotto dal decadimento dell’uranio contenuto, in quantità variabile, nella crosta terrestre sin dalle origini della terra.
Il gas Radon, presente nel terreno e nelle rocce, si mescola con l'aria e sale in superficie dov'è rapidamente diluito nell'atmosfera. La sua concentrazione nell'atmosfera è quindi molto bassa mentre quando penetra negli ambienti chiusi tende ad aumentare, perché vi si accumula. La principale fonte di immissione di radon nell’ambiente è il suolo, insieme ad alcuni materiali di costruzione e, in qualche caso, all’acqua.

La IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) classifica questo gas nel gruppo 1, ovvero come CANCEROGENO CERTO. Il Radon è un rischio molto importante soprattutto nelle abitazioni o nei luoghi lavorativi a contatto con il terreno, quindi piani terra, interrati, cantine e taverne; dove questo gas si accumula molto facilmente. La sua presenza per l'uomo è impercettibile, essendo inodore, incolore ed insapore, ma se respirato può finire nei polmoni e dare un effetto cancerogeno.



Il radon subentra nelle abitazioni tramite fessure nei pavimenti, punti di unione di elementi costruttivi, fessure nei muri interrati, vuoti nei pavimenti sospesi, fessure nei muri, vuoti intorno alle tubazioni, cavità nei muri.

L'unità di misura del gas è Bq/m3, la media europea di concentrazione di Radon è di 50 Bq/m3, quella Italiana è di 77 Bq/m3 mentre quella Lombarda è di 117 Bq/m3, decisamente più alta. Le regioni con una concentrazione maggiore sono la Lombardia e il Lazio, mentre le provincie più colpite sono quelle di Bergamo, Brescia, Lecco, Sondrio e Varese. L'Ufficio federale della sanità Pubblica di Berna, classifica il Radon al secondo posto, dopo il fumo di sigaretta, come causa per l'insorgenza di tumori polmonari. Tale effetto è sicuramente potenziato dal fumo di tabacco, tanto che un fumatore esposto a radon la probabilità di incorrere in tumore al polmone aumenta di 20 volte. Secondo il Ministero della Salute l'esposizione a Radon in Italia è il responsabile di un numero di casi di tumore polmonare compreso tra 1500 e 6000 per ogni anno.



La prevenzione nei confronti di questo rischio, deve partire da un processo di formazione ed informazione sulla popolazione e sui lavoratori esposti. Inoltre è importantissimo misurare la presenza del gas, per quantificare il rischio. Comunque le misure tecniche di prevenzione migliori devono essere effettuate in fase di costruzione degli edifici, creando pozzetti per il radon, aspirazione nell'intercapedine, o mettendo in sovrappressione l'abitazione. Sugli edifici già esistenti, le uniche precauzioni tecniche facilmente applicabili sono la sigillatura delle vie d'ingresso e la ventilazione dell'abitazione.

Ecco svelato uno dei motivi per cui, anche un non fumatore, può incorrere al tumore al polmone.





giovedì 12 luglio 2012

OBBLIGHI SULLA SICUREZZA PER OPERATORI DEL SETTORE ALIMENTARE

Molti non sanno che i proprietari e i lavoratori di attività inerenti al settore turistico/alimentare, come ristoranti, hotel o bar, non devono svolgere solamente il corso HACCP (con elaborazione di inerente piano di autocontrollo HACCP), ma devono essere in possesso di altri attestati, riguardanti corsi sulla sicurezza e la prevenzione dell'ambiente di lavoro. Infatti i corsi HACCP, improntati sull'igiene alimentare, non sono l'unico obbligo previsto dalla legge. I ristoranti, le gastronomie, i bar, gli agriturismi, gli hotel, rientrano nella legislazione dettata dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i., come del resto ogni altra attività presente sul territorio italiano, dalla più semplice (negozio o ufficio), alla più complessa (raffineria, carpenteria ecc.). Tale obbligo non si ferma ai corsi, ma è esteso anche al Documento di Valutazione dei Rischi, riguardante tutte le fasi lavorative. Fino al 31 dicembre 2012 tale documento, nelle attività dove sono presenti meno di 10 lavoratori, può essere sostituito da un'autocertificazione, che però perde ogni validità dal 1 gennaio 2013, data nella quale ogni tipologia di attività, indipendentemente dal numero di lavoratori, dovrà aver elaborato il Documento di Valutazione dei Rischi. Perciò, in sintesi, quali sono gli obblighi minimi (per un datore di lavoro di una attività turistico/alimentare) da svolgere per essere a norma con la legge e non incorrere in sanzioni?

CORSI SICUREZZA:
-Corso RSPP per Datore di Lavoro (che deve svolgere il Datore di Lavoro)

-Corso addetto antincendio (che fino a 5 dipendenti può essere fatto dal Datore, oltre i 5 lavoratori dovrebbe svolgerlo un dipendente, inoltre fino a 5 basta un addetto sopra i 5 bisognerebbe aumentare il numero e fare in modo che in ogni turno vi sia almeno un addetto)

-Corso addetto al Primo Soccorso (che fino a 5 dipendenti può essere fatto dal Datore, oltre i 5 lavoratori dovrebbe svolgerlo un dipendente, inoltre fino a 5 basta un addetto sopra i 5 bisognerebbe aumentare il numero e fare in modo che in ogni turno vi sia almeno un addetto)

-Corso per RLS (il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che deve essere svolto da un dipendente, eletto democraticamente dai colleghi)

-Corso per lavoratori, svolto secondo quanto riportato dagli Accordi Stato-Regioni entrati in vigore il 26/01/2012 (corsi che devono effettuare TUTTI i lavoratori, entro 60 giorni dalla data di assunzione)

CORSI IGIENE ALIMENTARE:
-Corso HACCP (sia datore che lavoratori che manipolano o entrano in contatto con gli alimenti, devono esserne in possesso)

DOCUMENTAZIONE SICUREZZA:
-DVR (Documento di Valutazione dei Rischi)
-Dichiarazione di conformaità degli impianti di messa a terra
-Piano di emergenza ed evacuazione

DOCUMENTAZIONE IGIENE ALIMENTARE:
-Manuale di autocontrollo HACCP

DOCUMENTAZIONE IN CASO DI PRESENZA PISCINA APERTA AL PUBBLICO:
-Manuale di autocontrollo della piscina

RAPPORTO INFORTUNI INAIL 2011

Prosegue e si conferma ulteriormente l'andamento decrescente degli infortuni sul lavoro in Italia. E' un bilancio positivo quello del Rapporto annuale INAIL 2011, illustrato il 10 Luglio 2012 a Montecitorio dal presidente dell'Istituto, Massimo De Felice, alla presenza del presidente della Camera, Gianfranco Fini, e del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero. Secondo le rilevazioni effettuate dall'INAIL al 31 marzo 2012, lo scorso anno sono stati 725.174 gli infortuni denunciati all'Istituto, per un calo del 6,6% rispetto ai 776.099 del 2010. In flessione del 5,4% anche i casi mortali, passati da 973  a 920. In generale, dunque, rispetto al 2010 si sono verificati 51mila infortuni in meno e da due anni il numero dei decessi rimane ben al di sotto dei mille casi.

Calo del 7,1% per gli infortuni in itinere. La diminuzione del 6,6% del totale degli infortuni è una media del calo che ha riguardato sia gli infortuni in occasione di lavoro (i casi che avvengono nell'esercizio effettivo dell'attività) che quelli in itinere (che accadono al di fuori del luogo di lavoro, durante il percorso casa/lavoro/casa). Gli infortuni avvenuti in occasione di lavoro - che rappresentano circa il 90% del complesso delle denunce - sono passati da 687.970 casi del 2010 a 643.313 nel 2011, con un decremento del 6,5%. Una contrazione maggiore (-7,1%) ha interessato quelli in itinere, scesi da  88.129 casi del 2010 a 81.861 nel 2011. Tra gli infortuni in occasione di lavoro vanno segnalati quelli occorsi ai lavoratori che operano sulla strada (autotrasportatori merci e persone, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale, ecc.), che dopo alcuni anni di costante aumento, segnano una flessione dell'8,4% (da 54.601 a 50.028 casi).

Casi mortali: -8,6% per quelli in occasione di lavoro. Per quanto riguarda i casi mortali la differenza tra le due modalità di evento è più forte: il calo del 5,4% è influenzato esclusivamente dagli infortuni in occasione di lavoro (-8,6%), che scendono da 744 a 680. Gli infortuni mortali in itinere, al contrario, con 240 casi (erano 229 nel 2010) hanno visto un sensibile aumento in termini percentuali (+4,8%).

"Al netto" della crisi la flessione generale scende al 5%. Se, a livello medio generale, già nel 2010 la crisi economica aveva influito in modo parziale sulla riduzione degli infortuni in termini reali, nel 2011 questi effetti sembrano essere ancora più contenuti. Nel complesso, sulla base di elaborazioni effettuate sui dati Istat disponibili (andamento occupazionale, unità di lavoro anno, ore lavorate per dipendente) e su informazioni rilevate dagli archivi delle Comunicazioni obbligatorie, dell'Agenzia delle entrate e della platea degli assicurati INAIL, si è stimato che - malgrado una forte variabilità a livello territoriale, settoriale e di dimensione aziendale - il calo "reale" degli infortuni sul lavoro al netto dell'effetto perdita di quantità di lavoro svolto per alcuni settori ad alto rischio infortunistico si possa stimare intorno al -5% (rispetto al complessivo -6,6%) per gli infortuni in generale e al -4% (rispetto al complessivo -5,4%) per quelli mortali. Tali riduzioni sono quelle da attribuire, dunque, all'effettivo miglioramento dei livelli di rischio in atto ormai da molti anni nel nostro Paese.

Calo più sostenuto nell'Industria (-6,6%). Per quanto riguarda i settori di attività, il 90% degli infortuni del 2011 si concentra nella gestione assicurativa Industria e servizi, il 6% in Agricoltura e il restante 4% tra i Dipendenti del conto Stato. La riduzione degli infortuni ha caratterizzato tutte le gestioni. Il calo più sostenuto è quello dell'Industria e servizi (-6,6%), seguito subito dopo dall'Agricoltura (-6,5%). Anche per i Dipendenti del conto Stato si registra una flessione del 5,8%, che si contrappone ai continui aumenti registrati negli ultimi anni. Per i casi mortali il maggior decremento percentuale si registra nella gestione Dipendenti conto Stato (-18,8,  da 16 a 13 casi), seguita dall'Industria e Servizi (-6,3%, da 845 a 792 casi), mentre l'Agricoltura segna un +2,7% (da 112 a 115 casi).

Lavoratori "in nero": si stimano altri 165mila infortuni. In questi dati non rientrano gli infortuni di cui l'INAIL non viene a conoscenza in quanto occorsi ai cosiddetti lavoratori "in nero", per i quali - a parte quelli più gravi o mortali (che rappresentano, comunque, la minoranza) - la mancata notifica è quasi scontata a causa dell'irregolarità del rapporto di lavoro. Gli infortuni che riguardano tali lavoratori vengono periodicamente stimati dall'Istituto, partendo dai dati Istat e utilizzando i propri indicatori di rischio con opportuni fattori correttivi. Avendo l'Istat stimato nel 2010 in quasi 3 milioni le unità di lavoro "in nero", è possibile ritenere che gli infortuni "invisibili" siano circa 164.000. Si tratta di infortuni che rientrano, per lo più, in un range di gravità medio-lieve e che confermano una sostanziale stabilità rispetto alla stima dell'anno precedente (circa 165.000 casi) e una sensibile riduzione rispetto a quella del 2006 (circa 175.000 casi).

Casi mortali: aumentano le donne. Nel 2011 il calo infortunistico ha interessato, in complesso, sia i lavoratori (-7,0%) che le lavoratrici (-5,6%). Il calo complessivo degli infortuni mortali  (- 5,4%) è, invece, influenzato esclusivamente dai lavoratori uomini (-7,3% rispetto al 2010). Le lavoratrici, viceversa, hanno conosciuto un sensibile aumento dei decessi (+15,4%, passando dai 78 casi del 2010 ai 90 del 2011). Tale aumento è dovuto prevalentemente ai casi in itinere, che rappresentano più della metà dei decessi femminili. Tenendo conto che le donne rappresentano circa il 40% degli occupati, che la quota di infortuni femminili rispetto al totale è del 32% e quasi il 10% per i casi mortali, si deduce che il lavoro femminile è sicuramente meno rischioso. Le donne, infatti, sono occupate prevalentemente nei servizi e in settori a bassa pericolosità e - se impegnate in comparti più rischiosi come le costruzioni, i trasporti e l'industria pesante - svolgono comunque mansioni di tipo impiegatizio o dirigenziale.

Diminuiscono gli infortuni tra i lavoratori stranieri. Gli infortuni che hanno interessato i lavoratori stranieri sono passati dai 119.396 del 2010 ai 115.661 del 2011, per un calo del -3,1%. I casi mortali sono in lieve flessione (138 casi contro 141) e confermano il trend decrescente del fenomeno.  Nel 2011 sono stati circa 3 milioni i lavoratori stranieri assicurati all'INAIL, l'1,3% in più dell'anno precedente e ben il 17,8% in più del 2007: una crescita dovuta non solo a un numero maggiore di assunzioni, ma soprattutto alla regolarizzazione dei contratti di badanti e colf. Gli infortuni degli stranieri rappresentano il 15,9% degli infortuni complessivi, quelli dei soli extracomunitari, invece, l'11,7%. Se si considerano i casi mortali le percentuali sono rispettivamente del 15% e dell' 8,8%.

Età: la fascia 35/49 è la più colpita. Relativamente all'età degli infortunati, tutte le fasce di età hanno registrato nel 2011 un decremento infortunistico. La fascia d'età 35/49 risulta la più colpita in valore assoluto con il 44% di tutti gli infortuni. A distinguersi per la contrazione dei casi mortali  risulta la fascia di età sotto i 35 anni (-23,2%), a fronte di un calo degli occupati (-3,2%). A seguire la fascia di età degli ultra 65enni (-8,3%) e quella dei 35-49 (-6,2%), mentre si rileva un discreto aumento per la classe 50-64 anni (+6,7%).

Forte calo degli incidenti nel Sud. Il calo registrato a livello nazionale (-6,6% tra il 2010 e il 2011) ha interessato tutte le aree del Paese, in maniera crescente dal Nord al Sud (dal -6,1% del Nord-Ovest al -8,1% del Mezzogiorno, passando per il -6,2% del Nord-Est e il -6,4% del Centro). Nel Nord trattandosi - il territorio a maggiore densità occupazionale (52% degli occupati nazionali nel 2011) - continua a concentrarsi oltre il 60% degli infortuni. La diminuzione del 5,4% delle morti sul lavoro è il risultato del forte calo nel Mezzogiorno (-14,9%, 48 vittime in meno), nel Nord-Ovest (-2,2%) e nel Centro (-0,5%), mentre il Nord-Est è praticamente stazionario (226 morti).

In Molise e Campania le flessioni più forti a livello regionale. Praticamente quasi tutte le Regioni vedono contrarsi il fenomeno infortunistico con risultati più significativi in Molise (-12,5%), Campania (-11,1%), Umbria (-10,4%) e Basilicata (-10,2). Le regioni con maggior numero di denunce di infortunio si confermano Lombardia (127.007 casi), Emilia Romagna (99.713) e Veneto (81.217): tre aree che, da sole, concentrano il 42% dell'intero fenomeno.

Malattie professionali: continua l'emersione. Nel 2011 aumentano ancora le denunce di malattie professionali, passando dalle 42.465 del 2010 a 46.558: 4mila in più in un anno (+9,6%) e oltre 17mila in più rispetto al 2007 (va segnalato, tuttavia, un certo contenimento rispetto al +21,7% registrato lo scorso anno). Come spesso sottolineato dall'INAIL, questi record traggono, senz'altro, prevalente fondamento nelle attività intraprese e nelle novità legislative introdotte in materia nel corso degli ultimi anni, che hanno particolarmente intensificato le attività di informazione/formazione e prevenzione (anche da parte dell'INAIL) e gli approfondimenti divulgativi.
La sensibilizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori, dei medici di famiglia e dei patronati, inoltre, ha sicuramente dato innesco all'emersione di queste malattie "perdute", attenuando lo storico fenomeno di sottodenuncia (dovuto sia ai lunghi periodi di latenza di alcune patologie che alla difficoltà di dimostrarne il nesso causale  con l'attività lavorativa svolta).

Boom delle malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee. Le malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee - dovute prevalentemente a sovraccarico bio-meccanico e movimenti ripetuti - con quasi 31mila denunce costituiscono (come osservato negli ultimi anni) la patologia più frequente e, di fatto, l'unica vera causa del "boom". La loro incidenza sul totale è sistematicamente cresciuta passando, anno dopo anno, dal 40% del 2007 al 66% del 2011. I tumori professionali sono la prima causa di morte per malattia tra i lavoratori.

Ecco il link dove trovare l'intero rapporto annuale INAIL 2011: http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Prodotti/Dossier_e_Speciali/SPECIALE_RAPPORTO_ANNUALE_2011/index.jsp